“Raccontami una storia”
“D’accordo, quale vuoi?”
“Raccontami una storia che non hai mai raccontato a nessuno”
I due erano lì, sulla collina; niente intorno a loro, niente dentro di loro. Loro soli, abbandonati da tutto e che tutto avevano abbandonato.
La Luna, in un cielo di pece, stava allora iniziando la sua scalata sul monte di Nut e solo qualche piccola e lontana stella aveva già aperto i suoi occhi e acceso i suoi lumi, piccoli gioielli di perle e diamanti che poco a poco, ogni notte, rischiarano il cammino agli angeli e agli uccelli.
E loro lì, sotto, distesi sull’erba umida della brughiera irlandese, nascosti dalle alte frasche di un cespuglio smeraldo, si guardavano e guardavano il cielo.
Poi con un sorriso iniziò la storia, armoniosa melodia di scale e accordi: era prosa e poesia, sonata e canzone; tutto insieme, tutto mescolato in un solo pensiero, un solo sospiro.
C’era il mare, e una taverna, di quelle locali, che puzzano di birra e risate, e c’erano loro. Fuori, di fronte al faro, il rumore dei marosi copriva il suono della pioggia e lento, il faro rischiarava i frangenti aggressivi.
Si voltarono, loro, e arrivati al bancone scambiarono due sommesse parole con l’oste. Poi questi batté tre colpi e un silenzio meraviglioso si fece tra i clienti. Tutti si voltarono quando lui prese la chitarra; era strana, crini di cavallo stavano al posto delle corde e il suono era quello di violino.
Cominciò a suonare, una musica melanconica scaturì dai crini appena sfiorati, ma sublime fu il suono, tanto che tutti rimasero incantati da quella figura.
Poco passò prima che lei aprisse le labbra, ma quando lo fece un canto dolce e soave riempì l’ambiente, ormai saturo del fumo di quelle strane lunghe pipe.
Tanto durò quel canto e tanto rimasero muti i banchettanti.
Poi d’improvviso un tuono illuminò con una luce abbagliante la sala, e la porta si aprì con un tonfo profondo.
Non uno dei presenti fiatò, tutti però si girarono, di scatto, quasi simultaneamente, e a nessuno mancò di vedere quell’ombra scura che era entrata: cappello a punta e mantello ne nascondevano il volto, solo una mano che reggeva un bastone spuntava dalla veste. Era mano di vecchio, grezza e sporca d’inchiostro.
L’uomo, se era un uomo, si sedette in un angolo accanto alla finestra picchiettata dalla pioggia, poi, come se niente fosse successo e come se invisibili apparissero gli sguardi dei presenti, prese ad aspirare dalla sua pipa e quando sbuffava fuori fumo, per qualche istante, si intravedeva una lunga barba grigia mai tagliata.
Il canto dei due durò a lungo quella notte, infinita come infiniti sarebbero i sogni se non ci si svegliasse.
Poi il vecchio si alzò, ripose la pipa nella tasca interna e come era entrato se ne andò; con una sola differenza, nessuno fece caso a lui mentre chiudeva dietro a sé la porta marcia e tarlata della taverna.
Nessuno più lo vide quel vecchio dalla bianca cintura, nessuno più eccetto loro, quella stessa sera quando, usciti dalla locanda, si diressero verso la scogliera, di fronte al faro, all’ombra di esso…
Erano vicini i due amanti, molto vicini, troppo.
Un vento fortissimo si alzò all’istante, le onde coprivano ogni rumore, non una parola si poteva sentire, neanche se urlata, e infatti nessuno in quel momento parlò.
Piano tutti gli oggetti del borgo si sollevarono, prima i più piccoli poi i più grossi, e rimanevano lì a mezz’aria come retti da invisibili folletti.
E il vento li raggiunse, raggiunse i due amanti della scogliera e, prima che un bacio fosse scambiato, li sollevò e li portò lontano, nel mare in apparenza, o forse lassù in cielo.
Solo una cosa è certa, solo una cosa videro i due prima di perdersi nell’immenso del loro mondo d’amore… una figura grigia, col cappello a punta e una lunga barba. E poi videro… una cintura, bianca, argentea e risplendente, e un solco sul viso del vecchio, un solco che sembrava un sorriso nascosto.
Disse solo sei parole quel volto, sei semplici parole che ognuno avrebbe potuto comprendere, ma là solo loro potevano vederle e solo loro le sentirono:
QUESTA
È
UNA
STORIA
D’AMORE,
ADDIO
Poi il vecchio scomparve avvolto da una nebbia lattiginosa. Solo una cosa rimase di lui: un foglio, scritto fitto fitto con un inchiostro dorato: una storia.
La brughiera fu invasa da una luce rosa intensa, il mattino era giunto e con lui l’aurora primaverile; ma nessuno più guardava il cielo ora. Due statue di ghiaccio erano sospese a mezz’aria immobili come se il vento dell’est le attraversasse, eppure erano lì a scrutare quella piana coperta d’erba alta, quel cielo ormai pesca, quelle poche nuvole che sporcavano la veste d’Urano.
Che immagine soave e armonica fosse lo può dire solo chi la vide in quell’attimo.
Il vecchio scrutava quello spettacolo e pensava tra sé che neppure un angelo sarebbe potuto essere più bello.
Poi sorrise, guardò ancora i due, guardò le loro labbra e guardò gli ultimi soffi del vento della sera innanzi; mormorò, infine, poche parole e svanì, come fatto d’aria.
A terra però era rimasto qualcosa: un foglio con scritte dorate: una storia d’amore.
“Vedi, mio piccolo amico, ho passato la vita ad ascoltare storie, ma mai l’uomo era riuscito a raccontarne una che fosse degna del mio amore: io amo le storie e, mio piccolo amico, ti posso giurare che mai le mie orecchie hanno udito storia più vera dell’amore, mai i miei occhi hanno visto titolo migliore di un bacio e mai le mie mani sporche d’inchiostro hanno strappato pagine da questo volume.
Ma ora… ora che ho sentito l’amore, la più vera storia che l’uomo abbia mai concepito, ora, piccolo caro,ho strappato l’ultima pagina del mio libro, della mia vita.
Ora i due amanti sono lì, nella brughiera, o meglio, lì rimane ciò che di loro è stato: il loro amore vaga ormai in quelle terre sconfinate che si estendono dietro questa porta. E l’unica chiave per aprirla è la chiave dell’amore; per questo ho strappato quella pagina, perché chiunque possa leggere quella storia e possa finalmente capire che il vero amore può aprire le porte dell’infinito mondo.
Questa, piccolo amico, è la fine del mio percorso, io finisco qui la mia vita di raccoglitore e ora, finalmente, potrò entrare nel mondo e cercare il Mio amore…
Questa è per me UNA STORIA D’AMORE, questa è per me L’ULTIMA STORIA.”
Il vecchio si alzò, vestiva un lungo mantello scarlatto di pregiatissimo velluto, si avvicinò all’armadio, lo aprì e ne estrasse un cappello a punta e un lungo mantello, entrambi grigi.
Quindi si avvicinò al piccolo amico cui aveva parlato finora e glieli consegnò. Infine si slacciò la cintura: era bianca, dall’aspetto regale e dal colore della perla più pura; la teneva in mano: era di crini di unicorno; staccò un filo e se lo avvolse intorno al capo a mo’ di corona, poi porse anche quella al bimbo che gli stava di fronte.
Allora si voltò e cominciò a percorrere la stanza in direzione opposta alla porta dell’infinito e mentre i suoi passi lo portavano al mondo disse:
“Ricorda, piccolo amico, quando quella cintura si esaurirà, allora l’uomo avrà ascoltato L’ULTIMA sua storia e tutti potranno librarsi nei cieli dell’infinito amore, e non ci sarà più bisogno di noi”.
Poi con un sorriso sul volto sparì.
Il bimbo aspettò che il vecchio svanisse, appoggiò su una sedia il mantello e il cappello, si legò intorno alla vita la cintura di crini bianchissimi e chiuse il librone dal quale il vecchio aveva strappato l’ultima pagina.
Poi si voltò, ne prese uno molto simile, lo aprì e sulla prima pagina scrisse
“Candido – trecentoventicinquesimo raccoglitore di storie degli uomini”: l’inchiostro era dorato.